Martina ha lo sguardo rivolto verso l’alto, guarda le nuvole appoggiata al tronco di un salice. Si alza un po’ intorpidita, sopraffatta da una sensazione di disagio difficile da definire e si guarda intorno un po’ confusa. Si incammina e ad un certo punto intravede una casa. Suona il campanello e una signora anziana viene ad aprire. Ginetta la riconosce subito e ne è felice, Martina è frastornata e non ricorda nulla.
L’inizio è sognante e mistico, il lettore è pervaso da un senso di incompiutezza e da un’atmosfera onirica e fantasiosa. Andando avanti con le pagine si riesce a contestualizzare questo inizio un po’ fantasy e favolistico senza perdere del tutto mai la misticità e un senso di sospensione dalla realtà.
Si tornerà all’infanzia di Martina, una bambina particolare, con una fantasia estremamente spiccata. I genitori, inizialmente accettano questa sua peculiarità, poi ne diventano sempre più infastiditi fino ad arrivare ad escogitare delle punizioni per farla smettere. Il loro timore è che rimanga sola senza amici, parla con i cani per strada ma non riesce a stringere alcuna amicizia umana. Il metodo coercitivo del padre però sarà benzina per il fuoco che arde nella piccola.
È una favola per adulti, un romanzo emozionante, a volte crudo, che dipinge una realtà ai margini della società avendo come filo conduttore l’ingenuità e la fantasia fanciullesca. Chi non ha mai avuto un amico immaginario? L’autore parte da questo espediente per raccontare l’emarginazione, la difficoltà a sentirsi accettati in un mondo fortemente conformista, il dolore che i genitori provano quando si accorgono che i loro figli faticano a entrare negli schemi imposti silenziosamente dalla società.