Il Capitano ha avuto un incidente grave, gravissimo e Chiara, la sua grande amica, decide di tornare in Italia di corsa per stargli vicino. Arrivata in ospedale scoprirà dinamiche relazionali di cui non era a conoscenza, in effetti è da un po’ di tempo che lei sta trascurando l’amicizia con il Capitano in favore della sua nuova vita a Parigi col suo compagno. Il Capitano però è sempre presente nei suoi pensieri tanto da farle mollare tutto senza ripensamenti quando ha ricevuto la notizia della tragedia. Ma perché Capitano? Il ragazzo nel libro verrà sempre chiamato così perché è così che lo vedono tutti: un punto di riferimento, una roccia, un ragazzo sensibile, intelligente e ironico che affronta la vita con coraggio e determinazione nonostante le sue difficoltà quotidiane e la sua non completa autonomia. Eh sì, perché il Capitano vive su una carrozzina e per parlare usufruisce di uno speciale PC.
Chiara è una ragazza che metterà in mostra le sue fragilità e la sua immaturità, farà fatica a destreggiarsi nelle nuove dinamiche relazionali che si sono create intorno al Capitano in sua assenza e non esiterà a fare qualche scenata di gelosia nei confronti di una persona per la quale sicuramente ha provato grande affetto ma che non ha neanche esitato a dimenticare in Italia per fuggire a Parigi.
Bellissimo è anche il personaggio del fratello del Capitano. Un ragazzo profondamente altruista e dolce, disponibile nei confronti delle esigenze del fratello, capace di mettersi da parte senza rancore ben comprendendo che nelle dinamiche familiari ci sono altre priorità.
È un romanzo bellissimo sulla disabilità e sull’accettazione dell’altro in quanto tale. È un inno a non fermarsi alle apparenze ma a concentrarsi su legami solidi e profondi. È un libro commovente, per me adatto da far leggere nelle scuole secondarie per sensibilizzare i ragazzi su una tematica forte ma importante. Il linguaggio non è sempre adatto ad una lettura in classe (ci sono alcune parolacce), ma se contestualizzato e compreso rimane un testo stupendo per una lezione di educazione civica e all’affettività.
“Le volte in cui non ho messo tutta me stessa forse sono quelle in cui ho perso meno. Ma anche quelle in cui non ho ottenuto tutto”.
“In certi casi è inevitabile fermarsi e fare un passo indietro, lasciare che siano altri a portare avanti ciò che noi non riusciamo a fare, ma questo non corrisponde a una sconfitta, perché non è che tutti dobbiamo essere in grado di risolvere sempre ogni cosa. Una battaglia si vince se ciascuno combatte nel ruolo che gli si confà maggiormente”.
“Forse è meglio rischiare di essere se stessi fino in fondo. Se ci si attesta su posizioni intermedie per andare bene a tutti, è facile che invece si finisca col non piacere davvero quasi a nessuno”.
“Non conta perché si litiga, ma come si litiga, ossia se per distruggere la posizione dell’altro o per trovare insieme una soluzione”.