BILLY SUMMERS – STEPHEN KING

Un sicario di professione, preciso, puntuale e con una mira infallibile. Un uomo serio, che si sa nascondere bene tra la folla, agilissimo nello sparire senza lasciare tracce. Tutto questo è Billy Summers, un uomo che decide di lasciarsi tentare da un ultimo incarico prima di cambiare vita definitivamente. Nick lo ingaggia per uccidere un uomo. Si sa poco di lui, solo che qualcuno non vuole che parli, ha per le mani qualcosa di grosso che potrebbe regalargli un ergastolo al posto della pena di morte per i suoi reati. Ma cosa? E soprattutto chi lo preferisce morto? E perché?

Sono domande a cui Billy non sa e non ha interesse a rispondere. Il suo lavoro consiste nell’eseguire il suo incarico, incassare una somma in questo caso molto considerevole e sparire nel nulla, stavolta per sempre. Ha deciso che sarà il suo ultimo incarico. Vuole cambiare vita.

Billy si presenta a Nick e ai suoi collaboratori recitando la parte dello stupido, lo capiamo solo proseguendo con la lettura; in realtà ogni sua mossa fa parte di un piano ben congegnato. Nick gli spiega che ha creato per lui un’identità falsa per giustificare la sua presenza nella zona: è uno scrittore, di giorno fingerà di lavorare al libro in un appartamento di proprietà del suo “agente” e quando non lavora vivrà in una villetta in una graziosa zona residenziale. Per non dare nell’occhio e creare sospetti è importante che si costruisca un’immagine positiva con i vicini, dovrà mostrarsi amichevole ma al contempo diffidente, non esporsi troppo.

Billy ci riuscirà anche fin troppo bene e pian piano il suo lato più sensibile e dolce uscirà allo scoperto. È un uomo sensibile e profondo e questi aspetti si sposano male con l’altra faccia della sua personalità. Proprio questa duplicità è l’aspetto che più mi ha lasciato perplessa del libro, l’ho trovata fortemente irrealistica. Billy non ha un’epifania finale che lo porterà a riconsiderare la sua vita e chiedere perdono, è più come se dentro di lui convivessero da sempre la parte spietata e razionale e quella morale e sensibile. King racconta momenti toccanti dell’infanzia di Billy, è vero, il background è molto ben costruito e ci porta in qualche modo a giustificare l’uomo che inseguito è diventato però ritengo impossibile convivano nella realtà sensibilità e spietatezza calcolata. Avrei compreso meglio una furia omicida, una frustrazione sfogata attraverso gesti cruenti perché avrebbero raccontato la sensibilità sotto un’altra veste ma pur sempre un sentimento sincero, forse troppo. Poco credibili sono anche gli avvenimenti che accadranno dopo la comparsa di Alice. Comprendo che la paura e l’angoscia sul momento possono portare le persone a comportarsi in modo folle, assurdo ma non trovo credibile il protrarsi di tali comportamenti all’infinito, senza un vero pentimento, un vero confronto con la propria coscienza. Anche Alice stessa, forse anche più di Billy metterà in atto comportamenti assurdi e irrealistici.

Ora mi direte: “stai leggendo Stephen King e non un romanzo storico o una biografia di un personaggio realmente esistito pertanto è normale che la trama non sia del tutto credibile”; è vero ma è anche vero che uno dei punti di forza di King per me è la capacità di costruire personaggi molto verosimili nonostante siano inseriti in contesti molto fuori dal comune e palesemente inventati. In questo caso forse è accaduto il contrario: il contesto era abbastanza realistico, erano i personaggi ad avere comportamenti fuori dalla realtà.

Concludo dicendo che ho amato tantissimo la citazione a “Shining” con l’Overlook Hotel.

COME UNA PIANTA CHE SPACCA IL CEMENTO – ANTONELLA CARTA

Il Capitano ha avuto un incidente grave, gravissimo e Chiara, la sua grande amica, decide di tornare in Italia di corsa per stargli vicino. Arrivata in ospedale scoprirà dinamiche relazionali di cui non era a conoscenza, in effetti è da un po’ di tempo che lei sta trascurando l’amicizia con il Capitano in favore della sua nuova vita a Parigi col suo compagno. Il Capitano però è sempre presente nei suoi pensieri tanto da farle mollare tutto senza ripensamenti quando ha ricevuto la notizia della tragedia. Ma perché Capitano? Il ragazzo nel libro verrà sempre chiamato così perché è così che lo vedono tutti: un punto di riferimento, una roccia, un ragazzo sensibile, intelligente e ironico che affronta la vita con coraggio e determinazione nonostante le sue difficoltà quotidiane e la sua non completa autonomia. Eh sì, perché il Capitano vive su una carrozzina e per parlare usufruisce di uno speciale PC.

Chiara è una ragazza che metterà in mostra le sue fragilità e la sua immaturità, farà fatica a destreggiarsi nelle nuove dinamiche relazionali che si sono create intorno al Capitano in sua assenza e non esiterà a fare qualche scenata di gelosia nei confronti di una persona per la quale sicuramente ha provato grande affetto ma che non ha neanche esitato a dimenticare in Italia per fuggire a Parigi.

Bellissimo è anche il personaggio del fratello del Capitano. Un ragazzo profondamente altruista e dolce, disponibile nei confronti delle esigenze del fratello, capace di mettersi da parte senza rancore ben comprendendo che nelle dinamiche familiari ci sono altre priorità.

È un romanzo bellissimo sulla disabilità e sull’accettazione dell’altro in quanto tale. È un inno a non fermarsi alle apparenze ma a concentrarsi su legami solidi e profondi. È un libro commovente, per me adatto da far leggere nelle scuole secondarie per sensibilizzare i ragazzi su una tematica forte ma importante. Il linguaggio non è sempre adatto ad una lettura in classe (ci sono alcune parolacce), ma se contestualizzato e compreso rimane un testo stupendo per una lezione di educazione civica e all’affettività.

“Le volte in cui non ho messo tutta me stessa forse sono quelle in cui ho perso meno. Ma anche quelle in cui non ho ottenuto tutto”.

“In certi casi è inevitabile fermarsi e fare un passo indietro, lasciare che siano altri a portare avanti ciò che noi non riusciamo a fare, ma questo non corrisponde a una sconfitta, perché non è che tutti dobbiamo essere in grado di risolvere sempre ogni cosa. Una battaglia si vince se ciascuno combatte nel ruolo che gli si confà maggiormente”.

“Forse è meglio rischiare di essere se stessi fino in fondo. Se ci si attesta su posizioni intermedie per andare bene a tutti, è facile che invece si finisca col non piacere davvero quasi a nessuno”.

“Non conta perché si litiga, ma come si litiga, ossia se per distruggere la posizione dell’altro o per trovare insieme una soluzione”.

L’EDUCAZIONE DELLE FARFALLE – DONATO CARRISI

C’è un incendio allo Chalet di Vion. Le fiamme sono altissime e avviluppano la struttura ospitante 12 ragazzine e le loro tutor. C’è concitazione e sgomento, le bambine impaurite seguono le indicazioni delle loro educatrici per mettersi in salvo all’esterno dell’edificio.

Vengono contate e ricontate ma ogni volta il computo è di 11 bambine…

Il gelo.

La narrazione si sposta raccontandoci la vita di Serena, una broker di successo pragmatica ed efficiente. Abituata ad affrontare le angustie della vita con sagacia e cinismo. Non vuole relazioni stabili, preferendo l’appagamento istantaneo e senza legami. Vive in un grattacielo altissimo a Milano e la sua vita sembra scorrere in modo prevedibile e soddisfacente fino a quando una telefonata cambierà i suoi piani e le sue priorità.

Ora capirete che non posso raccontare di più altrimenti vi rovinerei la piacevolissima esperienza di scoprire pagina dopo pagina come si dipana la vicenda; vorrei però soffermarmi sul tema centrale di questo libro: la genitorialità.

Essere genitori è un mestiere difficile, a volte addirittura estenuante. Ci sono tanti modi per essere genitori e tanti modi per diventarlo, tante situazioni più o meno piacevoli che portano un individuo a diventare genitore. Questo libro ci porta a riflettere su questo tema: cos’è la famiglia? Da quanti individui è formata? Cosa vuol dire essere genitori? Si può parlare di figli solo se siamo legati dal DNA?

La famiglia di Serena è sicuramente una famiglia particolare, con spigoli, curve e priorità ben definite almeno finché suonerà il telefono…

La crepa che si insinuerà nei meandri dell’anima di Serena sarà impercettibile all’inizio, ma diventerà sempre più ampia fino a diventare una voragine. Serena scoprirà emozioni e sensazioni che non immaginava neanche di poter provare e che la porteranno inevitabilmente a rivedere le sue priorità e a riflettere sul significato di essere genitore.

Un altro tema importante è quello del perdono. Proviamo a soffermarci su quante volte stigmatizziamo qualcuno in fretta, senza dargli la possibilità di redimersi o senza concedergli la possibilità di dimostrare di essere cambiato. Tutti abbiamo commesso errori più o meno gravi nella nostra vita, e salvo forse per certe esasperate eccezioni, è giusto permettere a tutti la possibilità di scusarsi e di tornare a vivere pentiti e coscienti degli sbagli commessi.

La trama centrale e in particolare il finale mi ha ricordato “La ragazza di neve” di Javier Castillo, quindi non proprio un tema originale ma raccontato egregiamente, con quel pathos noir e quella capacità di descrivere l’anima di cui Carrisi è un vero maestro.

È un libro che si divora e che ci fa affezionare ai personaggi che sono realistici e con una personalità ben costruita, multidimensionale e in costante mutamento. I percorsi di formazione di Serena e di Adone sono ben congegnati. Serena al principio può risultare antipatica e lontana per il suo modo fin troppo razionale e calcolatore di agire, ma scoprirà a sue spese di possedere invece tanta umanità e sensibilità ma non solo: la sua determinazione la sua caparbietà che tanto l’hanno aiutata nel lavoro le daranno soddisfazione anche nel momento più buio della sua esistenza.

Adone invece si presenta in un modo criptico e ombroso che può generare diffidenza in chi lo incontra, solo coloro che sanno andare oltre le apparenze però avranno modo di scoprire il mondo che si porta dentro e magari apprezzarlo.

ROSE MADDER – STEPHEN KING

Rose è una donna sposata o forse, sarebbe meglio dire, INTRAPPOLATA in un matrimonio deleterio. Da 14 anni subisce le angherie del marito Norman “ricordandosi di vomitare nel grembiule per non sporcare per terra”. Suo marito è un poliziotto e abusa del suo potere umiliando e maltrattando sua moglie ad ogni minima occasione. Ricatta la moglie minacciando conseguenze perfide caso mai le venisse voglia di denunciarlo perché “tutti i poliziotti sono fratelli” pertanto starebbero dalla sua parte e lei rischierebbe l’umiliazione pubblica oltre che serie ripercussioni da parte del consorte. Rose è affranta, vive giorni più bui di altri, soffre tantissimo ma la vergogna e i lsenso di colpa per non essere riuscita ad essere una buona moglie la attanagliano impedendole di trovare la forza di scappare e tagliare i ponti definitivamente con la sua vita diventata invivibile. Ricordiamoci che siamo negli anni ‘80, un’epoca nella quale interrompere un matrimonio, soprattutto da parte di una donna, era peggio di un reato. King racconta bene il senso di impotenza che prova Rose e che purtroppo accomuna molte donne.

Tutto cambia però una mattina grazie a una macchiolina di sangue che Rose trova sul cuscino. È una semplice macchiolina come ne ha viste tante prima di allora ma proprio quella fa scattare un meccanismo specifico nella testa di Rose che le comanda di approfittare dell’assenza del marito per raccogliere le cose indispensabili e fuggire. I metri che dal letto la separano dalla porta della camera sembrano infiniti, i piedi avanzano faticosamente, come se stesse camminando sulle sabbie mobili ma poi…

“Rose Madder” racconta una storia di violenza domestica. La cura dei dettagli è encomiabile e permette un pieno coinvolgimento del lettore. Le emozioni provate da Rose ci arrivano addosso senza frenare e noi tutti ci ritroviamo a fare il tifo per lei quasi potessimo donarle forza col pensiero. Tutto questo è stupendo considerando che chi ha scritto il libro è un uomo; King non smette mai di stupirmi nonostante abbia già avuto modo di apprezzare la sua maestria nel raccontare le donne in IT per esempio o nella trilogia di Holly Gibney per citarne alcuni.

Se Rose troverà o meno la forza di reagire lo lascio scoprire a voi, mi permetto solo di dire che affronterà un cammino travagliato e disperato degno di Oliver Twist. A differenza di Oliver però, Rose incontrerà persone meravigliose che la sosterranno e la aiuteranno a sancire la rottura definitiva con la sua vita precedente.

In una storia che inizia in modo tristemente realistico non può mancare una buona dose di fantasy mista a horror. Il percorso di Rose sarà tutt’altro che razionale: entrerà in un quadro e familiarizzerà con personaggi singolari ma profetici e simbolici.

Per concludere è un ottimo romanzo da regalare e regalarsi, un omaggio alle donne e per le donne affinché non ci si dimentichi mai di portare rispetto a tutti e che si può e si deve lottare per i propri diritti e i propri obbiettivi. Rose ci insegna a non accettare situazioni logoranti e umilianti, a fuggire anche se costa fatica e dolore nella speranza di costruirsi una vita migliore. È importante costruirsi una propria autostima in modo da non lasciarsi sottomettere né dalle persone, nè tanto meno dai propri pensieri o dalle proprie paure perché spesso siamo noi i principali boicottatori di noi stessi.

“Nessuno può farti sentire inferiore senza il tuo consenso” è la mia frase preferita. Perdonatemi ma non ricordo la fonte.

CHRISTINE LA MACCHINA INFERNALE- STEPHEN KING

Arnie Cunnigham è uno sfigato. Sì, uno di quei ragazzi con la faccia butterata, mingherlino e occhialuto. Non ha amici salvo Dennis Guilder, un ragazzo normale che frequenta alcuni corsi insieme a lui. Arnie e Dennis si conoscono dall’infanzia e tutto sommato quando li conosciamo stanno vivendo un’adolescenza normale; se per normale si intende subire di tanto in tanto qualche attacco dei bulli e passare i pomeriggi a oziare davanti alla TV o a qualche gioco in scatola.

Arnie a scuola è bravo o comunque non si può dire che crei pensieri ai suoi genitori. Regina e Michael infatti sono orgogliosi del loro unico figlio, soprattutto Regina è contenta che la vita di colui che ha tenuto dentro di sé per nove mesi stia procedendo esattamente secondo i suoi piani. Regina è una donna con delle questioni irrisolte, ha avuto un rapporto difficile con suo padre che le ha lasciato profonde cicatrici e ha influenzato a sua volta il rapporto genitoriale con Arnie.

Tutto sta procedendo come sempre fino a quando Arnie rimane letteralmente folgorato da un’auto scassata e vecchia che vede sul ciglio della strada. Obbliga Dennis a fermarsi perché assolutamente vuole saperne di più. Dennis è a dir poco sconcertato e cerca di far riflettere l’amico che però pare abbia preso una sbandata bella e buona.

Non faccio spoiler se vi dico che Arnie avrà quella macchina, Christine d’altronde è anche il nome del romanzo. È proprio questo evento, l’acquisto dell’auto, a fare da punto di svolta dell’intera narrazione. Arnie si trasformerà in maniera impercettibile ma costante, cambierà atteggiamento sia nei confronti dei genitori sia di Dennis. Leggendo ho pensato alla droga, Stephen è stato un dipendente da farmaci e il rapporto che si crea tra Christine e Arnie sembra raccontare questa caratteristica di King. Arnie verrà travolto e sconvolto, vedrà rovinati i pochi rapporti sociali che aveva instaurato fino a quel momento, si troverà sempre più isolato e arrabbiato.

Facendo però un passo indietro ho avuto modo di riflettere sul rapporto genitori-figli di casa Cunnigham. Arnie ha sempre ubbidito ai suoi genitori, si comportava bene e non aveva grilli per la testa ad un certo punto trova qualcosa che fa scattare in lui la voglia di staccarsi dai genitori e costruirsi una propria identità ben distinta. Sente il bisogno di tranciare il cordone ombelicale e portare avanti un proprio desiderio anche se in contrasto con il pensiero dei suoi genitori. Questo aspetto è fondamentale e racconta un momento che tutti noi viviamo prima o poi anche se magari non con questa intensità. Il bisogno viscerale e autentico di camminare da soli percorrendo strade diverse, magari anche in contrasto con quelle percorse mano nella mano con i nostri genitori, ci accomuna. È interessante assistere quindi alla reazione dei genitori. Regina risoluta e determinata che assiste inerme alla ribellione del figlio reagendo quasi allo stesso modo del padre che tanto aveva criticato e condannato. Ho detto “quasi allo stesso modo” perché si evince in lei una rassegnazione dettata dall’amore incondizionato nei confronti del figlio e forse qualche rimembranza delle lotte che lei stessa ha dovuto combattere. La sua ritrosia è forse più dettata dalla paura per un figlio che sembra sempre più perso. Michael invece è succube della moglie e lo sarà quindi anche del figlio anche se sarà proprio la sua mitezza e apparente passività che lo farà riflettere con maggiore cura e giungere alle conclusioni più pazze ma anche più azzeccate.

Una reazione simile a Regina l’ha avuta Dennis. Anche in questo caso non è raro accompagnarsi a qualcuno che per quanto nutriamo nei suoi confronti profondo affetto consideriamo inferiore a noi, uno “sfigato” e quando questo nostro amico esce dal bocciolo, spicca il volo diventando da anatroccolo un bellissimo cigno non possiamo esimerci da provare una punta di invidia e un tantino di rincrescimento. Ecco, Dennis si è interrogato sui sentimenti che ha iniziato a provare per l’amico, chiedendosi se non lo invidiasse al punto da non accettare le cose belle che gli stavano accadendo. Riflessioni giunte in breve tempo a una conclusione ben più triste visto l’avvicendarsi degli accadimenti.

TRILOGIA DI GWENDY- STEPHEN KING

La “Trilogia di Gwendy” racconta la storia di una ragazzina da quando ha 12 anni e sta trascorrendo la sua ultima estate da bambina prima di approdare alle medie fino a quando diventa Senatrice a bordo di una nave spaziale intenta ad assolvere un compito importante.

Ciò che aiuta Gwendy a passare da essere una ragazzina timida, impacciata e preda preferita dei bulli a una donna in carriera seppur con le sue fragilità e debolezze è la misteriosa scatola dei bottoni.

Conosciamo Gwendy nel primo volume mentre è intenta a fare la quotidiana corsa per “la scala del suicidio” sperando di perdere peso per l’inizio del nuovo percorso scolastico. Quel giorno però ad attenderla in cima trova una sorpresa: un uomo con uno strano cappello nero in testa è seduto su una panchina e la sta fissando. Farà quindi conoscenza con il signor Richard Farris, colui che le consegnerà la scatola dei bottoni e le spiegherà come usarla. Gwendy ne è fin da subito intimorita ma allo stesso tempo incuriosita quindi, dopo un primo momento di ritrosia, si lascia coinvolgere. Da quel momento la sua vita non sarà più la stessa.

La scatola dei bottoni sarà la grande protagonista, forse la vera protagonista dei romanzi, che userà Gwendy per raggiungere i suoi scopi. La scatola emana potere e più le si lascia spazio più scindere chi comanda e chi esegue diviene difficile. Mi ricorda il rapporto di un tossicodipendente con la droga. Il senso di alienazione e gioia che si prova all’inizio viene ben presto sostituito da una forte necessità al limite della sofferenza. Gwendy vivrà sulla sua pelle dei miglioramenti estetici e caratteriali che la porteranno ad uscire dal suo guscio e a sentirsi meglio ma purtroppo ne dovrà pagare anche le conseguenze. Non tutti sono disposti ad accettare che la “sfigata”, bruttina e cicciottella del gruppo si trasformi in cigno e potrebbero reagire innervosendosi e provando una punta di invidia, ma non sono solo queste le conseguenze che dovrà affrontare Gwendy: quando si sta bene e si provano sensazioni deliziose si ha voglia di averne sempre di più, ecco che arriva la dipendenza. Gwendy diventerà attratta morbosamente dai magici cioccolatini dispensati dalla scatola e tutta la sua esistenza sarà quindi scandita da questo rapporto di attrazione e rifiuto ragionevole.

Estrapolando per un momento dal contesto la fioritura di Gwendy, tralasciando quindi il parallelismo con la tossicodipendenza, vorrei porre l’accento sull’importanza di figure guida che aiutano a trovare fiducia in se stessi. Penso ai genitori, agli insegnanti, ad amici o a semplici sconosciuti che ci infondo fiducia con una parola, una riflessione, un complimento. Soprattutto gli adolescenti hanno bisogno di queste figure, spesso sono impantanati nella timidezza e nell’insicurezza e avere qualcuno che crede in loro o qualcosa in cui credere aiuta a uscire dall’impasse. Si può trattare anche di qualcosa di piccolo o insignificante. La scatola dei bottoni, in questo caso, di per sé non ha nulla di attraente, ma acquisisce fascino grazie a chi e a come viene presentata. La magia bisogna trovarla dentro di noi e credere al cambiamento affinché questo avvenga davvero. È quello che succede a Gwendy quando schiaccerà un bottone della scatola. Le conseguenze sono davvero responsabilità sua? Fino a che punto può influenzare gli accadimenti nel mondo? O la convinzione unita alla superstizione le fa attribuire responsabilità non sue?

La scatola è stata dunque la miccia che l’ha aiutata a definire la propria vita in meglio riuscendo ad uscire dal guscio nel quale si era chiusa. Se però si pensa che Gwendy non abbia dovuto affrontare delusioni e sconfitte dopo l’incontro con la scatola ci si sbaglia di grosso. King, pur scrivendo romanzi lontani dalla realtà, non dimentica le dinamiche socio-relazionali e i maggiori dilemmi umani e li riproduce con una fedeltà commovente. La vita di ognuno è costellata di delusioni e gioie e spesso sono le maggiori gioie che creano come un effetto domino alcune delusioni. In questa trilogia ho trovato una dinamica relazionale simile a quella presente in “Christine, la macchina infernale” del 1978. Gwendy come Arnold, Arnie per gli amici, è impacciata e ha poche relazioni sociali. Entrambi però si ritrovano attratti da un oggetto che almeno all’inizio rappresenterà la loro salvezza. Miglioreranno dal punto di vista estetico e formeranno il loro carattere. Gli amici più vicini però faticheranno ad apprezzare fino in fondo questa evoluzione positiva facendo germinare dentro di sé il seme dell’invidia. È quello che succede a Olive e Dennis e che presto farà incrinare i rapporti con i loro migliori amici. Ognuno di noi ha bisogno di rinfrancare la propria autostima e lo fa, consapevolmente o meno, confrontandosi con qualcuno considerato “inferiore” per alcuni aspetti. Quando gli equilibri si spostano perché il nostro punto di riferimento modifica qualcosa di sé caratterialmente o esteriormente, per quanto possa esserci dell’affetto sincero, non si è esenti da un fastidio che si fatica a spiegare. Questo accade perché si sente che l’equilibrio sicuro fino a quel momento non è più sicuro e forte e si ha quindi la necessità di costruire un nuovo equilibrio su cui fondare la propria autostima.

Il cambiamento mentale di Gwendy mi ricorda un altro personaggio di King, anch’essa una donna tra le più amate tra i suoi personaggi: sto parlando di Holly Gibney. Anche lei la conosciamo insicura e impacciata e nello scorrere della trilogia acquisisce sempre più sicurezza e di conseguenza fascino andando a manifestare qualità che lei per prima non sapeva di possedere.

Concludendo mi piaceva soffermarmi su un altro aspetto che traspare tra le righe: spesso ci chiudiamo in noi stessi, non esternando le nostre paure o le nostre preoccupazioni perché convinti di non trovare comprensione e aiuto nel prossimo. Gwendy, sul finale dell’ultimo romanzo, ci dimostra quando questa nostra convinzione sia errata. Ad un certo punto si è vista costretta a svelare la sua vera missione e per sua sorpresa la rivelazione fu accolta con molta benevolenza. Affidarsi agli altri quindi non è sempre un male, spesso troviamo più gentilezza e disponibilità di quello che pensiamo.

IL SALE DELLA TERRA- JEANINE CUMMINS

Su consiglio della talentuosa autrice Lucia Carluccio, memorabile il suo “Il cigno e la ballerina” e la sua raccolta di racconti “Nitida dallo spessore del cielo”, ho letto questo romanzo.

Jeanine Cummins in questo volume ci racconta un viaggio crudo, triste e realistico al punto da graffiare sulla pelle. Lydia e Luca da un momento all’altro, nel bel mezzo di una grigliata familiare, si ritrovano a essere soli al mondo. Una strage cruenta perpetrata da un cartello locale porrà fine all’infanzia di Luca e costringerà Lydia ad abbandonare i suoi cari per partire verso luoghi più sicuri.

È un romanzo forte e commovente che racconta la forza e la tenacia di una madre nel saper mettere al primo posto sempre suo figlio. È un viaggio alla ricerca della salvezza e della cura interiore per cercare di venire a patti con qualcosa di troppo devastante da immaginare figuriamoci da vivere.

Lydia e Luca incontreranno varie persone durante il loro cammino e sosterranno prove difficili, cammineranno come equilibristi sul filo del rasoio della loro esistenza, aggrappati con i denti a questa vita che qualcuno ha voluto tristemente distruggere con un cinismo che appartiene solo ai peggiori criminali.

Interessanti sono le relazioni che si instaurano tra sconosciuti, quel mutuo aiuto che viene spesso proprio da chi non si conosce ma che si trova a vivere la stessa situazione nello stesso momento. Luca affronta tutto con pragmatismo, forse troppo piccolo (8 anni) o forse troppo scioccato per affrontare qualcosa troppo grande per lui. Fa tenerezza come sciorina informazioni geografiche di quasi nulla importanza rendendosi a suo modo utile in momenti più o meno cruciali del viaggio.

Encomiabile è il grande cuore che dimostra nei confronti di amiche conosciute durante il viaggio, bello come i sani principi resistono evitando di renderlo animalesco anche laddove la situazione prende una piega estremamente critica.

Non entro nei dettagli onde evitare spiacevoli spoiler, ma pensando alla doppia faccia di Javier mi è saltato subito alla mente “Il profumo delle foglie di limone”. È incredibile come ci siano persone che riescono a costruirsi un’immagine idilliaca per nascondere il marciume che hanno dentro. Forse è proprio grazie a questa infernale “abilità” che tutt’oggi molte donne sono vittime di femminicidi: è difficile cogliere segnali di squilibrio in persone che sanno recitare la parte molto bene. Talvolta, sono convinta, sia anche un meccanismo inconscio per ripulirsi la coscienza perché credo che nessuno possa vivere con la coscienza sporca quindi diviene necessario costruirsi una sorta di seconda pelle, una maschera che però per qualche meccanismo psicologico a me sconosciuto ad un certo punto cade creando voragini immense e soprattutto svelando chi c’è davvero dietro l’involucro esterno.

PAPA’ GAMBALUNGA

Jerusha è una ragazza orfana che da sempre vive nell’Istituto John Grier occupandosi dei bambini dell’Istituto. Un giorno però riceve una piacevole sorpresa: un uomo misterioso, che ha scelto esplicitamente di restare anonimo, si è offerto di pagarle il college e sostenerla in quegli anni. Una sola e semplice condizione ha posto, oltre a restare anonimo appunto, ovvero rimanere aggiornato con una lettera ogni mese sui miglioramenti scolastici di Jerusha.

Da questo momento in poi il romanzo è un susseguirsi di lettere di Jerusha indirizzate a questo tanto misterioso quanto gentile benefattore che lei soprannominerà Papà Gambalunga.

Sono lettere simpatiche, divertenti, a volte tristi e rabbiose. Non si limita a raccontare i suoi progressi negli studi ma anzi, i protagonisti principali sono le sue avventure, le sue amicizie, i suoi pensieri e il suo amore…È molto spontanea e spesso le sue lettere sono dettate dall’umore del momento.

Si dimostra fin da subito una ragazzina sveglia, simpatica e molto intraprendente. Ho provato tantissima simpatia per lei, come fosse una mia amica. L’aspetto che più ho adorato di Jerusha è la sua gioia e la sua capacità di apprezzare e godere di ogni momento di felicità, di ogni esperienza nuova ed emozionante. Ho amato anche la sua caparbietà, la sua voglia di non mollare mai per rincorrere un sogno.

L’edizione curata da Caravaggio Editore è una perla rara, Enrico De Luca ha svolto un lavoro certosino e molto preciso nel riportare fedelmente le parole in inglese originale laddove si presenta una traduzione non precisissima per mancanza di uguale termine in italiano, si è occupato anche di fornire ulteriori dettagli su autori, opere citate e oggetti o cibi citati.

Non sono i più grandi problemi della vita che richiedono carattere. Chiunque può essere all’altezza di una crisi e fronteggiare una tragedia devastante con coraggio, ma sopportare i futili guai della giornata con una risata… penso davvero che richieda spirito”. Ora, che tutti sappiano affrontare una tragedia con coraggio non ne sono molto sicura anche se indubbiamente davanti a problemi grossi o gravi lutti sicuramente la maggior parte degli individui scopre una forza interiore che non pensava di avere, è vero però che vivere la vita quotidiana è un atto di coraggio e costanza più significativo di quello che immaginiamo, soprattutto in alcune circostanze. Accettare la propria condizione e volgerla al meglio, trovare la felicità anche in una vita semplice e monotona non è facile ma è indispensabile se si vuole amare la vita.

È sufficiente preoccuparsi della felicità presente, non del male passato”. “Il vero segreto della felicità è vivere nel presente. Non rimpiangere in continuazione il passato o anticipar il futuro; ma trarre il massimo che si può da ogni istante”. Molto spesso ci crogioliamo in sofferenze e rammarichi passati invece di goderci a pieno la bellezza e la gioia del momento. Jerusha è contenta ora al college, ha delle amiche, vive la vita anche fuori dal college in quanto viene ospitata nelle tenute delle sue amiche, ha una vita mondana, è felice! Avrebbe poco senso continuare a pensare ai momenti noiosi e bui dell’Istituto Grier con la signora Lippett. Sono esperienze che l’hanno fatta crescere e maturare, ma non necessitano di ulteriori rimuginii.

Penso che la qualità più importante che tutti debbano avere sia l’immaginazione. Rende le persone capaci di mettersi nei panni degli altri. Le rende gentili ed empatiche e comprensive. Dovrebbe essere coltivata nei bambini […] i bambini dovrebbero fare tutto a partire dall’amore”. Credo non ci sia niente da aggiungere. L’amore, la passione sono il motore di tutto, gli elementi essenziali per una vita ricca e serena.

Ed ora un estratto che mi ha davvero commosso “sarebbe piuttosto illogico da parte mia rifiutare di prendere i vostri soldi per il college e poi invece utilizzarli solo per il divertimento! Non dovete abituarmi a così tanti lussi. Non manca ciò che non si è mai posseduto, ma è terribilmente difficile trovarsi senza certe cose dopo che si è iniziato a pensare che fossero proprie per diritto naturale”. Quanta saggezza, maturità e onestà dimostra la nostra Jerusha? Non approfitta delle situazioni, ma compie scelte assennate e riconoscenti nei confronti di chi le ha permesso di fare un salto di qualità notevole.

Chiudo con un augurio e un consiglio a tutti a nome di Jerusha “Sono perfettamente cosciente di ogni momento della mia vita in cui sono felice. E ho intenzione di continuare ad esserlo, non importa quali cose spiacevoli accadano”. Dovremmo farlo tutti Jerusha. Tutti. grazie mille per i tuoi insegnamenti, le tue riflessioni e per aver accompagnato me così come tantissimi altri lettori nella tua vita.

IL BARONE RAMPANTE DI ITALO CALVINO

Siamo nel 1767 la Francia di lì a poco avrebbe vissuto la famosissima Rivoluzione Francese e l’atmosfera si respirava pure in quel di Ombrosa, in Liguria. Il Barone di Rondò era immerso negli affari e nelle notizie politiche, c’era aria di rivoluzione. La moglie del Barone viveva nel passato, sognava un futuro da soldati per i suoi figli e viveva estraniata nel suo mondo. I due coniugi hanno tre figli: Cosimo, Battista e Biagio. Cosimo e Battista in modi diversi esternano la loro ribellione nei confronti di genitori assenti e disinteressati, Biagio invece, forse perché piccolo, subisce le angherie non riuscendo a trovare una via di fuga. Battista si ribella propinando alla famiglia piatti poco appetibili, al limite dell’accettazione, Cosimo sceglie una via meno subdola e meschina e decide di salire sugli alberi per non scendere più.

Quello che in un primo momento sembra un gioco, un capriccio del momento diventa invece una vera e propria presa di posizione. Un passaggio particolarmente toccante viene descritto in occasione della prima notte di Cosimo sull’albero. Biagio triste e impensierito per il fratello si rende conto della fortuna che ha a disporre di un letto caldo e morbido, fortuna fin a quel momento data per scontata. Biagio, forse perché piccolo, forse perché di carattere più incline ad essere succube non ha mai ascoltato gli inviti di Cosimo a seguirlo nella sua forma di protesta. I due fratelli continuarono però a vedersi e parlarsi così come tutti gli altri membri della famiglia continuarono a mantenere i contatti con Cosimo. Il Barone se inizialmente apparve stizzito e imbarazzato dalla situazione soprattutto quando invitava importanti ospiti, finì per accettare e in qualche modo approvare la scelta del figlio.

Cosimo continuava le lezioni con l’Abate e anzi tra i due nacque una certa complicità, forse erano più simili di quanto pensavano… Cosimo dall’alto della sua posizione, alto in senso letterale intendo, ha avuto modo di scoprire un segreto dell’Abate e sicuramente questo gli ha permesso di rivalutare positivamente quest’ultimo, non più solo succube del padre.

Nel corso del libro si evince una crescita esponenziale di Cosimo, da ragazzino insicuro che cerca di dimostrare il contrario, a ragazzo e poi adulto con dei principi saldi e soprattutto ferrei. Cosimo grazie alla sua posizione riuscirà ad essere utile più di quanto avrebbe potuto fare se avesse continuato la sua vita in casa. Aiuta i soldati francesi, ha occasione di parlare con Napoleone in persona e il fatto che quest’ultimo dovette chiedere a Cosimo di spostarsi per coprire il sole affinché non gli desse fastidio vuol dir tanto… Napoleone che chiede un favore ad un ragazzo… pensateci.

Ma non è l’unico fatto eccezionale, Cosimo riesce anche a far redimere in qualche modo, o comunque cambiare, il bandito più ricercato della zona. Grazie ai libri l’incontro tra i due divenne qualcosa di magico, purtroppo però la virata positiva costò cara al famigerato Gian dei Brughi.

E poi come non menzionare l’amore! Eh si perché Cosimo anche sugli alberi è riuscito ad innamorarsi e a vivere l’amore, un amore burrascoso, fatto di continui momenti di felicità alternati a tristezza e gelosia ma sempre di amor si tratta.

“Perché mi fai soffrire?” “Perché ti amo”.

“No, non mi ami! Chi ama vuole la felicità, non il dolore”. “Chi ama vuole solo l’amore, anche a costo del dolore”

“Fai bene a essere geloso. Ma tu pretendi di sottomettere la gelosia alla ragione. “Certo: così la rendo più efficace”.

“Tu ragioni troppo. Perché mai l’amore va ragionato?” “Per amarti di più. Ogni cosa, a farla ragionando, aumenta il suo potere.” “Le imprese più ardite vanno vissute con l’animo più semplice.”

Insomma io credo che spesso le scelte coraggiose vengono premiate, magari non subito perché anche Cosimo inizialmente ha subito derisioni e scherzetti, ma sicuramente alla lunga ripagano.

Le prese di posizione, la capacità di credere in qualcosa nonostante tutto, la perseveranza credo vada premiata. Cosimo in una posizione sopraelevata ci insegna che forse se cambiamo prospettiva, se cambiamo angolatura le situazioni assumono significati diversi. Possiamo essere più utili a noi stessi e agli altri se ci abituiamo ad avere una visione d’insieme, non solo atta ai nostri interessi. Cosimo in qualche modo si è trovato a dover ricostruire la sua vita e la sua identità, era sempre figlio del Barone di Rondò però con la sua scelta ha fortemente rischiato di perdere tale privilegio e di trovarsi a essere un trovatello qualunque. Avere il coraggio di perseguire i propri ideali e uscire dalla propria comfort-zone ci può dare tantissime soddisfazioni (parlare con Napoleone non è proprio cosa da tutti).

È un classico che vi consiglio e che mi resterà per sempre nel cuore perché è completo, al suo interno vi è contesto storico, rapporto genitori e figli, voglia di credere in qualcosa, altruismo, amore, amore per i libri, cambiamento coraggioso dello stile di vita, morte.

IL PETTIROSSO DI JO NESBO

La guerra ti entra dentro, diventa parte di te e non se ne va… la guerra  cambia la prospettiva dalla quale guardi le cose e ti cambia dentro in modo irreversibile.

Lo sanno bene Harry Hole e colleghi, che nel 1999 ancora devono lottare contro i fantasmi di una guerra combattuta circa 50 anni prima.

Tutto inizia quando per un caso fortuito Hole si ritrova con una sorta di promozione e un cambio di colleghi. Nel corso di un pomeriggio mentre scorreva veloce le carte che gli arrivavano in ufficio nota qualcosa di particolare e curioso: un fucile Marklin importato illegalmente. Certo, traffico illegale di armi non è una novità in ambito poliziesco però cosa serve un mega fucile che spara proiettili in grado di fare un buco su un persona tale da infilarci un pugno da parte a parte?  Attentato in vista?

I colleghi di Hole minimizzano e non credono ci sia nulla di così significativo da meritare un’indagine più approfondita ma il caro Harry non è dello stesso avviso e come sempre… figuriamoci se si sbaglia!!!

Aperto il vaso di Pandora, Hole e colleghi iniziano la ricerca di vecchi soldati, innamoramenti, omicidi, vendette spietate e ricercate da anni.

Io adoro le storie narrate nelle guerre mondiali e adoro i polizieschi per cui un romanzo che coniuga alla perfezione questi due aspetti non può non ricevere le mie lodi, però…

Le prime pagine mi hanno lasciata un po’ perplessa, la narrazione si alterna tra il 1999 e un periodo che va dal 1940 a qualche anno dopo la fine della guerra, Nesbo prepara la scena raccontando varie situazioni che inizialmente sembrano tutte scollegate tra loro, ho faticato a trovare il nesso logico pertanto stavo iniziando a spazientirmi. Pian piano però il quadro ha iniziato a delinearsi sempre meglio, in un intreccio di sotterfugi e giochi sporchi, gestito magistralmente dal grande Jo Nesbo.

Un altro aspetto che ho gradito poco riguarda la modalità con la quale sono avvenuti alcuni passi avanti nelle indagini: va bene che Hole è un figo, super intelligente e acuto seppur poco professionale però spesso avevo la sensazione che le intuizioni piovessero dal nulla nella sua mente, fin troppo facile così caro Nesbo, meno male che so, per averli già letti, che i libri successivi sono ancora meglio e ancora più affinati.

È un romanzo che comunque consiglio, a me è piaciuto e, a parte le pagine iniziali un po’ dispersive,  l’indagine prosegue bene e in modo molto incalzante.

Come per gli altri suoi libri amo molto quando Nesbo coniuga la vita professionale di Hole e la sua vita privata, i sentimenti dell’agente, le emozioni che vive. Molto emozionante e tanto realistico. Hole ancora una volta si dimostra un uomo buono e di gran spessore con tanta sfortuna.

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